Incontri, mostre, eventi collaterali
ORDINE DEGLI ARCHITETTI DELLA PROVINCIA DI RAGUSA
Terzo appuntamento
IL PROGETTO DI RESTAURO E RIUSO DEI MONUMENTI
22 MAGGIO 2010
VITTORIA(RG)
EVENTO COLLATERALE
sebastiano mortellaro / mela salemi / aldo taranto / stefania zocco
COLLATERAL PLACEMENT
collaborazione protezione civile


Quando ci è stato rivolto l’invito ad una nostra partecipazione come artisti al vostro terzo appuntamento – “Progetti di restauro e riuso dei monumenti” – ci siamo concentrati soprattutto sul sottotitolo della manifestazione – la gente incontra l’architettura, l’architettura incontra la gente – partendo dal concetto di Centro storico come spazio ereditato su cui l’architettura è chiamata a misurarsi con prudenti progetti di restauro di monumenti in funzione di un loro riuso. Dunque lo spazio ereditato come spazio delle relazioni umane e il riuso di alcuni elementi presenti in esso in funzione dei mutamenti: di qui Collateral placement, costruito come sequenza percettiva il cui primo atto è il posizionamento nel centro storico di tende ministeriali della protezione civile per le emergenze, posizionamento nevralgico di un flusso di relazioni deviate su una direttrice forzata da un’ipotetica necessità, che si conclude con l’atto, primario per la sopravvivenza, del mangiare che si svolge nel campo della protezione civile e a cui sono stati chiamati gli architetti partecipanti al convegno e la gente del luogo. In secondo luogo, il progetto di riuso dei monumenti: la nozione di riuso non è affatto neutra. Serve a tal proposito citare “Primo intervento”, un lavoro su Montevergini, museo d’arte contemporanea di Siracusa condotto da Sebastiano Mortellaro e Stefania Zocco, a cura di Francesco Lucifora e Aldo Taranto
Il commento
Collateral placement merita un commento. Posizionamento collaterale a due ordini di realtà: ciò che è perduto e l’anticipazione che ci attende. L’idea stessa di modernità è quella di una dimensione continua, in cui passato e futuro intercettandosi coesistono. Questo è il lato enigmatico che in qualche modo sta alla radice delle cose: osserviamo la realtà e siamo già in un’altra realtà. Non si potrà mai dire “questo è dietro di noi, non ci appartiene più”, oppure “questo è davanti a noi, non è ancora reale”. Ci troviamo sempre in questi due ordini di realtà: ciò che è passato e l’anticipazione del futuro. Questo vale anche per l’abitare, vale per il costruire, che sono modalità fondamentali dell’esistere dell’uomo.
Lo spazio delle relazioni
L'orizzonte teorico e pratico dell'arte di questo decennio si fonda in gran parte sulla sfera dei rapporti interumani. Come artisti ci interessava proprio mettere alla prova i meccanismi di relazione all’interno di una comunità, soprattutto in riferimento allo spazio ereditato. Non a caso abbiamo scritto nel testo di presentazione che quel che resiste nei centri storici è l’imprinting relazionale. Costruita una certa sequenza percettiva essa ha funzionato contemporaneamente come macchina di produzione di significati. Una domanda che si pongono gli artisti, ma non solo gli artisti, è: come posso abitare nella realtà? Come posizionarmi di fronte all’oggetto perduto, al passato, e contemporaneamente far fronte al futuro, anticipandolo? E’ chiaro che la struttura riflessiva deve essere impostata sul mutamento, sui mutamenti della stessa percezione.
Sulla città che cambia
Ci deve essere una differenza tra le cose che cambiano e il divenire. Divenire non è la stessa cosa che portare un cambiamento, imporlo alle persone e non lasciare loro nessuna via di fuga. Le città cambiano velocemente nella confusione e si assiste all’erosione delle loro caratteristiche. Lavorare sul divenire di una città significa invece avere una coscienza acuta della sua identità, identità su cui orientare i cambiamenti. Il divenire si decide rispetto a quello che lo precede dando senso ad un’architettura che parte da un pensiero preliminare, dal concetto.
Riuso dei monumenti
Collateral placement sceglie il concetto che si pone rispetto al contesto in posizione conflittuale ed è per questo che si può definire un non-avvenimento in opposizione ai cosiddetti avvenimenti reali. Sulla stessa linea, “Primo intervento” - realizzato da Sebastiano Mortellaro e Stefania Zocco nell’aprile 2010 a Montevergini, Galleria Civica d’Arte Contemporanea - ha funzionato come dispositivo di messa alla prova del contesto. La nozione di riuso di un monumento non è neutra, deve dare prova di sé. Non è soltanto una modificazione che si richiede ma una mutazione: il luogo cambia completamente di senso, soprattutto nel caso di musei d’arte contemporanea. La scelta deve essere di considerarli come un pezzo di città, come un insieme urbano interno/esterno. Così i due artisti in “Primo intervento” realizzano con gli strumenti dell’arte in uno spazio istituzionale degradato un luogo di discussione che si confronta con la realtà. Invece di riempire di proprie opere lo spazio, smontano, anziché interpretarne i sintomi, uno scenario di macerie e interdizioni per ricostruirne uno nuovo mettendo alla prova condizioni più convenienti. Superando l’aspetto polemico per lo stato d’abbandono del museo “Primo intervento” ribalta, secondo un’attitudine critica propria all’arte contemporanea, la concezione del museo come sede statica per metterlo alla prova in movimento, verso nuove soggettivazioni più rispondenti agli attuali processi sociali caratterizzati da una progressiva rottura dei confini in ogni ambito. Liberando spazi, aprendo passaggi ostruiti e finestre chiuse, restituendo memoria al museo, si sono sprigionati nuovi circuiti di energia e nuove intersoggettività. Montevergini diventa in quel frangente un cantiere aperto sia materiale che immateriale, e ciò a dimostrazione che condizioni migliori producono risposte adeguate mentre la sola interpretazione dei sintomi produce aggiustamenti non adeguati. Troppe “giacenze” e troppi “scarti” per un museo d’arte contemporanea: rivelatore in negativo di quanti accumuli, effetti collaterali produce a volte l’arte. I due artisti con “Primo intervento” hanno messo alla prova criticamente il museo, la sua identità e la sua storia: in una dimensione continua tra retrospettiva e anticipazione il fulcro della levatura.
Il reale racconta il reale
Collateral placement nella sua materialità si è concretizzato in un campo attrezzato di protezione civile, con i suoi uomini, le attrezzature, gli strumenti: un posizionamento nevralgico nel centro storico di Vittoria, una confluenza in discontinuità normativa, un’emergenza dello stare, una forzata necessità. Un posizionamento che fronteggia l’esistente e anticipa il futuro: non una metafora per dire una cosa attraverso un’immagine, ma la tautologia del reale che racconta il reale. Lo spostamento, la deviazione riguarda più che altro la percezione di quel che vediamo, ciò a cui assistiamo e partecipiamo, dal sensibile all’immateriale. Come immateriale è lo spazio delle relazioni, il sistema di chiusure e di aperture su cui si modella l’intersoggettività.